It’s death by a thousand cuts.

Come ci si abitua alla mancanza di una persona?

Insomma, pensavo di essere più o meno allenata alla cosa visto che la mia migliore amica abita in Olanda e tantissimi amici sparsi per l’Italia, ma con lui è diverso. Sono passati quattro mesi e poco più da quando l’ho visto l’ultima volta e mi manca ancora come l’aria. E poi… Non ho avuto la mia ultima volta.

Siamo tutti così fissati con le prime volte, così concentrati a renderle speciali e indimenticabili che spesso ci sfugge quanto siano piuttosto le ultime ad essere importanti, sono loro quelle che lasciano davvero il segno. L’ultimo abbraccio con un amico perso, l’ultimo bacio con l’amore della tua vita, l’ultimo sorriso di tua nonna prima che ti lasciasse per sempre.

Avrei tanto voluto un ultimo bacio, un ultimo sorriso, un’ultima volta in cui fare l’amore, un ultimo abbraccio. È così bravo ad abbracciare…Ha questo modo di avvolgerti completamente nelle sue braccia e per un momento, un brevissimo momento, il mondo intero sembra fermarsi e tu ti senti…Felice. Quando le cose vanno male (ed ultimamente lo fanno spesso) mi immagino di essere ancora lì, rannicchiata nel suo abbraccio, protetta da tutto quello che si trova al di fuori di me e di lui, incurante di quello che è stato il passato e quello che potrà essere il futuro.

L’ho amato con tutta me stessa e non è bastato. Come si convive con un tale senso di inadeguatezza? Certo, a volte le cose non sono destinate ad essere, chiunque da persona esterna ai fatti penserebbe che evidentemente quello non era l’amore della mia vita ma se è vero che nel corso della nostra esistenza incontriamo due grandi amori, uno che resta e uno che se ne va, lui è il mio grande amore che se ne va. Sarà sempre la persona che mi mancherà come l’aria, sarà sempre il mio più grande “e se…?” e non passerà giorno in cui non spererò di rannicchiarmi di nuovo in quell’abbraccio.

Se solo avessi potuto avere la mia ultima volta gli avrei dimostrato davvero quanto l’amassi, non per convincerlo a rimanere, solo per riuscire a dormire la notte e a convivere con me stessa sapendo che ho lottato fino all’ultimo respiro per l’unica cosa che mi teneva aggrappata alla felicità. E invece sono qui, a scrivere un post su un blog dopo aver affidato tutto quello che avevo da dirgli in una lettera, chiedendomi se mai arriverà a destinazione, se mai avrà voglia di leggerla o se invece alzerà gli occhi al cielo quando riconoscerà la mia calligrafia e la butterà nel cestino.

Avrei tanto voluto un’ultima volta…

“I can’t believe it’s true, I keep looking for you, I check my phone and wait to hear from you”: il ghosting

Oggi (dopo secoli di assenza) vorrei parlare di una delle piaghe del XXI secolo: il ghosting. Entrato a far parte del dizionario comune negli ultimi anni, l’Urban Dictionary definisce il ghosting l’“atto di cessare improvvisamente ogni comunicazione con qualcuno che il soggetto sta frequentando (con cui non ci si vuole più frequentare)”. “Questo”, continua, “è fatto nella speranza che chi subisce il ghosting colga la premessa e non contatti più il soggetto, al posto di dover dire direttamente a una persona che non si è più interessati a frequentarla”. Lo scenario può essere questo: conoscete un ragazzo, cominciate a frequentarvi, poi dopo qualche appuntamento lui sparisce. Provate a scrivergli una volta e vi risponde a monosillabi e dopo ore e sparisce di nuovo; gli riscrivete una seconda volta e proprio non vi risponde; gli scrivete una terza volta e, di nuovo, non risponde, finché alla fine vi stancate di parlare con un muro e smettete di scrivergli. Sia chiaro, ho fatto l’esempio di un ragazzo perché io sono una ragazza eterosessuale ma va da sé che il ghosting non ha genere ed è piuttosto legato alla maturità del soggetto: sempre l’Urban Dictionary aggiunge infatti che generalmente il ghosting viene messo in atto “come un modo per non ferire i sentimenti di chi lo subisce”: che ne sanno loro che in realtà è un comportamento che ferisce molto di più di un semplice “ehi, scusami ma penso che non dovremmo più frequentarci”.

Perché lo fanno, vi chiederete? Beh, ho provato a fare qualche ricerca ma la letteratura scientifica a proposito è scarsa, se non inesistente. Tutto quello che sono riuscita a trovare sono articoli di vari giornali, il New York Times, Times Magazine, Huffington Post…Senza nulla togliere a queste testate onestamente non sono fonti scientifiche abbastanza attendibili. Ho trovato un video su Youtube creato da un team di psicologi e qui vengono menzionate delle ricerche, anche se in modo per me troppo vago (ho provato a contattarli per avere una bibliografia, se e quando mi risponderanno aggiornerò il post). Innanzitutto precisiamo che il ghosting può essere messo in atto nei confronti di una persona che si frequenta ma anche verso un amico o un conoscente (anche se è comunque più raro rispetto alla prima opzione) e che, va da sé, il fenomeno è apparso in contemporanea all’avvento dei social media nella vita di tutti i giorni. Abbiamo detto che può essere messo in atto come un modo per non ferire l’altra persona, ma può essere anche un modo per evitare il confronto. Tuttavia, è bene ricordare che non è scappando che si risolvono i problemi: per risolvere un problema si deve affrontarlo di petto, e “fare ghosting” su una persona non è certamente la soluzione.

Ma che ripercussioni ha il ghosting su chi lo subisce? Risponderò con una sola parola: devastanti. Non ve lo devo dire io, potete immaginarlo molto facilmente: vi piace una persona, e sembra che questa ricambi i vostri sentimenti. Magari diventa anche una persona importante (in inglese rende bene l’idea di significant other) e la frequentazione va avanti per mesi, magari anni; poi all’improvviso, la vostra “persona speciale” sparisce. Così, all’improvviso. Se non riuscite ad immaginare come ci si possa sentire ve lo dico io: ci si sente come se si fosse stati colpiti da una palla demolitrice. Passi ore ed ore a ripercorrere ogni singolo momento del vostro rapporto, chiedendoti quando e dove hai sbagliato; passi le notti a piangere, chiedendoti se lui (o lei) ti sta pensando in quel momento; ogni volta che senti nominare il suo nome è come una pugnalata nello stomaco; non hai una chiusura definitiva, hai solo un dolore costante che ti perseguita. Oltre a tutto questo il ghosting ha un effetto distruttivo sull’autostima: il messaggio che arriva a chi lo subisce è che non si è degni nemmeno di una chiusura, di un semplice messaggio in cui si finisce la storia; per farvi capire l’intensità del disagio che si prova, quando si subisce il ghosting nel nostro cervello si attivano le stesse aree di quando proviamo un dolore fisico. Si diventa ossessivi, ripendendosi una sola e semplice domanda pur sapendo che non avremo mai una risposta: perché?

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Secondo il video di cui ho parlato sopra (che vi lascio qui) le ricerche sostengono che fare ghosting su una persona sia il peggior modo di terminare una relazione: la persona che lo subisce ha, ovviamente, le maggiori ripercussioni, ma non è tutto rose e fiori neanche per chi lo mette in atto. Fare ghosting può causare un forte stress in chi lo fa, soprattutto se l’altra persona sa (e/o frequenta) i posti in cui questo vive/lavora/esce – non che non se lo meritino-; in più, chi mette in atto il ghosting può provare un senso di colpa che si può ripercuotere a lungo termine sulla persona -di nuovo, non che non se lo meritino-, e può rafforzare l’ansia e lo stress che un confronto causa, portando la persona ad evitarlo sempre di più.

Insomma, il ghosting è un comportamento oltremodo nocivo per entrambe le parti coinvolte; il miglior modo di finire una relazione, che sia di un’ora o di 15 anni, è parlarne apertamente con l’altra persona. Certo, non sarà facile per nessuno dei due e indubbiamente causerà del dolore ad entrambi, ma tutte le parti coinvolte avranno una chiusura e, con i propri tempi, andranno avanti. In quanto al ghosting, mi sento solo di aggiungere che nessuno si merita un simile trattamento, neanche chi, come me, ha un’autostima sotto i piedi e pensa di non valere niente; siamo persone, e come tali dobbiamo essere trattate.

Call it what you want.

Loving can hurt, loving can hurt sometimes“, dice Ed Sheeran in Photograph, ma anche “Loving can heal, loving can mend your soul”. Per quanto sia stata male, per quanto in tre anni abbia cercato di allontanarmi sono bastati tre giorni per capire davvero che, per me, nessuno sarà mai te, e per quanto amarti mi abbia fatto stare male come nient’altro al mondo mi fa stare anche così bene da scordarmi qualsiasi cosa esista al di fuori di me e te insieme.

Dopo due anni sono riuscita a farti venire da me a Roma e non potevo immaginare tre giorni più perfetti di questi: dai gesti più ponderati, come abbracciarmi per farmi tranquillizzare dopo un incubo o farmi trovare colazione e pranzo pronti al mio risveglio, a quelli più semplici, come abbracciarmi mentre camminiamo per la strada o spegnere la sveglia del mio cellulare per farmi dormire di più di domenica, è stato tutto perfetto. Per una volta ci siamo completamente dimenticati del mondo intorno e siamo esistiti solo io e te, e parafrasando Taylor “the high is definitely worth the pain“.  Per la prima volta da quando sono a Roma sono andata al Colosseo e di vedere il Colosseo non mi importava niente. “Scusami ma te sei sempre qui”, ho pensato, “lui no, quindi preferisco godermi questa vista”. Tutti i miei amici mi chiedono se abbiamo parlato “della nostra situazione” ma onestamente, anche se la risposta è ovviamente no, mi va bene così. Sono stati tre giorni di pura e semplice felicità e non cambierei niente, neanche per definire una situazione indefinibile. Non mi interessa sapere cosa siamo, mi basta sapere che possiamo continuare a contare l’uno sull’altra e che posso trovare un abbraccio completamente avvolgente se mi capita di avere un incubo. E per quanti sbagli io possa aver fatto (o fare nel futuro), per quanto io abbia potuto soffrire, per quanto abbia lasciato di non detto e per quanto io possa pensare di non essere buona a fare niente una cosa me la devo riconoscere: amare te mi riesce molto bene (sempre citando Taylor, “And I know I make the same mistakes every time, bridges burn, I never learn, at least I did one thing right, I did one thing right. I’m laughing with my lover, makin’ forts under coverstrust him like a brother yeah, you know I did one thing right“)

Avrei voluto dirti quello che provo per te, quanto sia fiera di te e di quello che stai facendo e di quanto sei cresciuto ma alla fine so che sai già tutto (e se anche tu non lo avessi saputo ho una faccia molto eloquente, soprattutto quando ti guardo), non ho voluto rovinare niente. Un giorno, magari, quando torneremo a vivere nella stessa città, ti dirò tutto, ma non era questo né il luogo né il momento.

L’unica nota negativa è il male che ha fatto, e continua a fare, la tua partenza. Dalle tre di oggi pomeriggio se penso che non ti vedrò per un mese (forse di più) perdo la testa, non riesco a dormire perché il pensiero che fino a ieri sera eri qui a dormire con me mi toglie il fiato. Non ho ancora tolto i tuoi cuscini, per stanotte rimarrà tutto così, per quanto possa essere dolceamaro dormirò raggomitolata nel tuo lato del letto fingendo di averti ancora accanto, fingendo che tu non sia a 230 km da me e che non dovranno passare almeno 30 giorni prima di rivederti, quindi che dire?

Buonanotte amore, ci vediamo presto.

After the love dope died it was you the pill I keep taking, the nightmare I wake in.

Sapete qual è il problema delle droghe? Creano dipendenza. E sapete cos’è la dipendenza? Cito testualmente: “è uno stato medico caratterizzato da ricerca compulsiva di stimoli gratificanti, nonostante le conseguenze negative”, o ancora meglio “una alterazione del comportamento che da semplice o comune abitudine diventa una ricerca esagerata e patologica del piacere attraverso mezzi o sostanze o comportamenti che sfociano nella condizione patologica. L’individuo dipendente tende a perdere la capacità di un controllo sull’abitudine”. Per il DSM e l’ICD, ovvero i libroni che mi accompagneranno per il resto della mia vita, la mia versione della Bibbia per capirci,  il segno cardinale della dipendenza è l’uso compulsivo di una sostanza (o la messa in atto compulsiva di un comportamento) a dispetto della consapevolezza delle conseguenze negative, in sostanza la perdita del controllo volontario del comportamento. Ora, se si diventa dipendenti di una sostanza il percorso terapeutico è già, a grandi linee, designato: si ricorre alla terapia farmacologica e ad una terapia psicologica e si cerca di ridurre il bisogno della sostanza fino ad arrivare all’astinenza completa.

Ma se si diventa dipendenti di una persona?

Come fa una persona a creare lo stesso effetto di dipendenza di una droga?

Il meccanismo alla base è pressoché lo stesso: si va alla ricerca di stimoli gratificanti a prescindere dalle conseguenze negative. In termini più semplici, ci si ostina a relazionarsi con questa persona nonostante gli effetti disastrosi che questa ha sulla nostra salute psicofisica. E, come con la droga, si va in astinenza se non la si vede o sente per un determinato periodo di tempo (assolutamente soggettivo). Durante questi periodi di silenzio il nostro cervello è occupato solo da lei e non riusciamo a pensare ad altro; diventa un pensiero talmente costante da compromettere anche le più semplici attività quotidiane: ci pensiamo mentre cuciniamo la pasta, mentre siamo in tram, mentre siamo fuori con gli amici. E, come per una droga, l’astinenza crea in noi uno stato umorale fortemente negativo, caratterizzato da disforia, irritabilità, ansia, che può essere alleviato solo dal consumo della sostanza, o, in questo caso, dall’interazione con la persona. Ci si ritrova intrappolati in un ciclo infinito in cui soffriamo di crisi di astinenza da questa persona e cerchiamo gratificazione, la troviamo, ci sentiamo in colpa immediatamente dopo perché siamo perfettamente coscienti della negatività della cosa, cerchiamo di allontanarcene e ricadiamo nell’astinenza, e il ciclo rinizia. Ora, abbiamo detto che per la dipendenza da sostanze il percorso terapeutico prevede l’assunzione di farmaci per ridurre l’ansia e un percorso psicoterapeutico per ridurre l’ossessione del consumo della sostanza e arrivare ad un’astinenza completa; come si può mettere in atto una cosa del genere quando l’oggetto di dipendenza è una persona? Mi chiedo soprattutto come sia possibile al giorno d’oggi, con i social network che hanno completamente annientato il concetto di privacy e ci permettono di condividere anche i momenti più intimi della nostra vita (si pensi a quei disagiati soggetti che postano foto con il proprio partner alla conclusione di un rapporto sessuale – i famosi selfie after sex, per intenderci-): come ci si aspetta che una persona riesca ad arrivare all’astinenza completa di un’altra persona se, volente o nolente, questa è sempre lì, qualsiasi cosa si faccia, in qualsiasi posto si sia?

Essere tossicodipendenti al giorno d’oggi è uno stigma sociale, se sei un tossicodipendente sei automaticamente un delinquente; non ci si sofferma mai a pensare cosa possa succedere nel cervello di qualcuno che soffre di dipendenza da sostanze, a cosa stiano passando per guarire, si tende sempre a liquidare il discorso con un “quel cretino è un tossicodipendente, come si è potuto ridurre così? Non può semplicemente smettere?“. Ecco io vorrei chiedere a questi luminari della scienza WE SCEMI PAGLIACCI MA NON V’È MAI PASSATO PER L’ANTICAMERA DEL CERVELLO CHE FORSE, E DICO FORSE, NON È COSì SEMPLICE COME LA FATE VOI? O, per mantenere un certo tono, non pensate che forse alla base non ci sia solo una mancanza di forza di volontà? Una dipendenza ti toglie l’autonomia, ti toglie l’unica cosa che fa di te te: la tua identità. Annienta completamente la tua forza di reagire e ti lega indissolubilmente alla sua volontà, rendendoti succube. Sai benissimo che ciò che stai facendo è sbagliato, ne sei perfettamente consapevole, e ti senti in colpa per questo, non la vivi a cuor leggero, ma sai anche che, disgraziatamente, è l’unica cosa che può donarti una momentanea parvenza di benessere. E allora la cerchi, fai di tutto per raggiungere il tuo obiettivo, ti ossessioni fino a perdere completamente la tua dignità per una busta di cocaina, o per un messaggio. E poi riesci ad ottenerlo, finalmente hai quello che volevi, lo vedi, stai con lui e tutto il resto del mondo pare scomparire e niente ti tocca più, a parte per quella sensazione sempre più pervasiva di dolore che senti avvampare prima piano piano, poi sempre più forte, perché in cuor tuo sai che ti stai solo facendo ancora più del male. Sai che questa pseudo felicità non durerà a lungo, anzi, lo senti? Sta già svanendo. Ti chiedi come hai fatto a ridurti così, decidi di tagliare i ponti, di intraprendere un percorso di disintossicazione e riprenderti la tua vita, ma ricadi inesorabilmente nell’astinenza, il pensiero di cancellarlo dalla tua vita ti fa mancare il respiro, cominci a diventare paranoica, e un velo nero pare cadere su tutta la tua vita. E allora torni indietro, lo ricerchi, sapendo che ti farai solo del male, ma sapendo che almeno per quelle due ore che passerete insieme il tuo cervello, il tuo cuore e quel dolore lancinante ti daranno (più o meno) tregua. E il ciclo ricomincia.

Vorrei poter dire a me stessa che passerà presto, vorrei poter dire, come due anni fa, che starò bene e che tutto questo sarà solo un brutto ricordo, ma se così fosse non sarei qua a scrivere questo assoluto delirio da reparto psichiatrico o TSO brainstorming. Quando mi guardo allo specchio continuo a paragonarmi alla ragazza per cui si è preso una cotta stratosferica a luglio, o (ultimamente sempre più spesso) alla sua ex, e continuo a perdere, ancora e ancora. Continuo a vedere i rotolini di ciccia (quelli che nessuna delle due ha), la cellulite (che nessuna delle due ha), il naso grande (quello che nessuna delle due ha) e i denti storti (che ve lo dico a fa?), continuo a vedere i fianchi larghi e la mia forma a pera, continuo a pensare di essere meno bella, meno simpatica, meno intelligente, meno tutto di loro. Continuo a capire perché questo rapporto non sia mai evoluto in qualcosa di più e a capire perché lui mi veda come un buco da usare quando si ha voglia di soddisfare i propri bisogni o come un contenitore in cui rigurgitare tutti i propri problemi e a cui rivolgersi quando si ha un problema, certo che sarà sempre lì, pronto ad accoglierlo. Continuo a cambiare drasticamente umore se mi arriva un suo messaggio, e a cambiarlo di nuovo quando ci lasciamo. Continuo a rovinare i miei rapporti con le altre persone, continuo a non riuscire ad addormentarmi la notte, continuo a fare sogni tremendi in cui lui è con una ragazza che non sono mai io, continuo a svegliarmi la mattina e non avere le forze per alzarmi, certa che sarà un’altra giornata di merda.

Avrei tanto voluto chiudere questo post in modo positivo, ma non saprei proprio come.

Si accettano suggerimenti.

 

Oggi sarà un giorno senza te, domani pure

Vorrei dire tante cose, ma non lo farò. Non ti dirò che continuo a pensare a quello che c’era e adesso non c’è più, o che il pensiero di te con un’altra mi distrugge, ogni volta. Non ti dirò che la parte più dolorosa è sapere che a te non interessa e che probabilmente in questo esatto momento sarai, appunto, con una ragazza conosciuta chissà dove, o sapere di non essere stata abbastanza, di non aver avuto quel qualcosa in più per farti innamorare di me come te per me. Non ti dirò che continuo a farmi male e ad ascoltare la canzone che cantavamo sempre insieme, continuo a guardare le foto che ci siamo mandati o le rare, rarissime, foto che abbiamo insieme, continuo a fissare quella del mio compleanno appesa sull’armadio, a fissare il tuo sorriso impacciato da “non so fare le foto” e a pensare che, come dicono gli Articolo 31, “nessuna foto renderà mai giustizia al tuo sorriso quando esplode all’improvviso sul tuo viso”. Non ti dirò che non riesco ad addormentarmi la sera perché penso alla notte di Capodanno, quando mi sono addormentata mentre mi abbracciavi, perché non riesco a togliermi dalla mente la sensazione di avere le tue braccia intorno a me e la tua testa appoggiata alla mia, non riesco a sopportare la realtà, che tu non ci sei e non ci sarai quando mi sveglierò, riavvicinandomi a te perché nella notte mi sono allontanata. Non ti dirò che non riesco più a godermi niente della mia vita, dall’università ai miei amici, che guardo ridere e scherzare come se fossi una spettatrice esterna e sconosciuta. Non ti dirò che non riesco a non pensare costantemente a cosa stai facendo, con chi sei, come stai, al fatto che se tu stessi male non chiameresti più me. Non ti dirò che non riesco a trovare quella rabbia necessaria per reagire, neanche con tutte le cagate che mi fai, perché non riesco ad essere arrabbiata con te, perché se anche mi fai uscire di testa come nessun altro ha mai fatto se penso per cinque minuti alla faccia che facevi quando mi arrabbiavo con te non riesco a non sorridere. Non ti dirò quanto ha fatto male cancellare la frase precedente e riscriverla al passato, non ti dirò quanto fa male pensare che non potrò più parlarne al presente o, per quel che vale, al futuro. Non ti dirò che non è tanto il fare l’amore (“o come lo vuoi chiamare”, cit.) con te che mi manca, quanto i piccoli gesti che facevi, come prendermi la mano e stringerla nella tua e non lasciarla mai, o abbracciarmi, o guardarmi come se non volessi essere in nessun altro posto con nessun altro in quel momento. Non ti dirò che quando trovo una foto o un video che mi fa ridere mi giro per fartelo vedere o penso di mandartelo e poi mi ricordo che non posso più farlo, o che non riesco più ad ascoltare la metà delle mie canzoni preferite perché le cantavo con te; non ti dirò che continuo a prendere i sottobicchieri da portarti per la tua collezione, anche se so che non avrò la possibilità di darteli e finiranno nel cestino. Non ti dirò che non sopporto l’idea di non sentire più la tua musica, di non essere più la prima a sentire la nuova canzone che hai scritto o di non aiutarti a comporla, con te che suoni la chitarra e canti e io che mi siedo al pianoforte di tua mamma e suono con te. Non ti dirò quanto mi si stringa lo stomaco quando suona il cellulare e non sei te, mai. Non ti dirò quante volte mi sono chiesta se tu avessi mai pensato davvero tutto quello che mi hai detto, o se sia stata davvero così importante per te. Non ti dirò quanto non so affrontare questa situazione e quanto non riesca a sopportare la realtà delle cose, quanto sia difficile affrontare ogni giorno sapendo che sarà pieno dello stesso, identico dolore del giorno precedente e, con molte probabilità, di quello successivo. Non ti dirò che continuo a ripensare a come sono finite le cose, a come ho rovinato anche questo, a quel maledetto treno alla stazione, a te che mi abbracci convinto di rivedermi a distanza di una settimana e a me che in quell’abbraccio ho lasciato il cuore, sapendo che era l’ultimo.

Vorrei dire tante cose e alla fine le ho dette, sono logorroica, lo sai. Io so che se tu leggessi tutto questo il tuo cervello recepirebbe il 15% perché leggeresti distrattamente, sarebbe tutto troppo lungo, troppo lagnoso, troppo troppo da leggere, quindi ti facilito le cose. Vorrei dire tante cose, ma quello che voglio dire veramente è

Ti amo, mi manchi.

Baby you look happier, you do.

“Ho perso la testa per una.”

Una frase, questo è bastato a farmi crollare. È successo davvero. “Walking down 29th and park I saw you in another’s arms. Only a month we’ve been apart, you look happier”. Sono distrutta sotto tutti i fronti, penso ai momenti passati insieme e alle risate che ci siamo fatti durante le mattinate sceme passate a guardare video idioti. Eppure ti vedo felice, ti sento felice. Tranquillo. Come non eri da tantissimo tempo. Forse va bene così, forse è così che doveva andare. “Saw you walk inside a bar, he said something to make you laugh, I saw that both your smiles were twice as wide as ours. You look happier, you do”. L’unica cosa che mi importa è sapere che stai bene e che sei felice, che non hai più tutte le tue turbe. Di me mi importa relativamente, anche perché so che non dovrei reagire così, teoricamente parlando ho un ragazzo. Eppure vorrei solo morire. “Ain’t nobody hurt you like I hurt you but ain’t nobody love you like I do. Promise that I will not take it personal if you’re moving on with someone new, ‘cause baby you look happier, you do. My friends told me one day I’ll feel it too and until then I’ll smile to hide the truth but I know I was happier with you”. Provo a non pensarci, provo a non immaginarmi te con lei, te che la guardi, che la abbracci, che la baci, che fai l’amore con lei. Che le scrivi una canzone. Ho provato a soffocare tutto questo nell’alcool (scelta molto matura) ma non è servito a niente. “Sat in the corner of the room, everything’s reminding me of you. Nursing an empty bottle and telling myself you’re happier, aren’t you?”. Ripeto, so che non dovrei sentirmi così, ho un ragazzo meraviglioso e pazzamente innamorato di me che non mi fa mancare nulla, ma affrontiamo la verità: una parte di me sarà sempre innamorata di te, no matter what. E purtroppo è ancora una gran parte di me. “Ain’t nobody hurt you like I hurt you but ain’t nobody need you like I do. I know that there’s others that deserve you but my darling I am still in love with you. But I guess you look happier, you do, my friends told me one day I’ll feel it too, I could try to smile to hide the truth but I know I was happier with you”. Egoisticamente a volte penso che sì, sono felice che tu stia bene, ma potevi esserlo anche con me. Mi uccide sapere che io non sono stata abbastanza, che io non ho quel qualcosa in più per farti perdere la testa. Io sono solo io, io non me la meritavo una canzone scritta da te (errata corrige: ME LA MERITAVO. E ME LA MERITO.), io sono solo quella su cui buttare tutte le tue turbe, perché sono quella che ti ascolterà sempre e sono quella che ci sarà sempre per te, anche se significa starti a sentire parlare di lei fino alle 3.40 di notte quando muoio di sonno (e di dolore). “Baby you look happier, you do; I knew one day you’d fall for someone new, but if he breaks your heart like lovers do just know that I’ll be waiting here for you”.

Il mio cuscino ha il tuo profumo, e non voglio separarmene più. Almeno per stanotte. Almeno per stavolta – come se tu fossi qui con me, come se non fosse mai cambiato niente, come se fosse di nuovo il 1 Gennaio e potessi addormentarmi tra le tue braccia. Solo questa volta, solo un’ultima volta, prima di tornare alla realtà, prima di tornare a lui e a lei, prima di tornare al groviglio allo stomaco che mi viene quando mi parli di lei ma anche alla tranquillità di saperti felice, prima di tornare alla consapevolezza di non essere stata abbastanza, prima di andare a sbattere contro la verità più brutta e lancinante: sono ancora innamorata di te.

Ps: si ringrazia Ed Sheeran per aver scritto una canzone sulla mia vita attuale.

Don’t fall in love.

Caro L.,

Mi dispiace. Mi sento un mostro, ma non posso più nascondere come mi sento. Sono ancora innamorata di un altro, ed è pure uno dei tuoi più cari amici, e per questo mi sento una merda. Mi sento una merda soprattutto perché ho trascinato te nei miei casini. Te, che sei probabilmente l’unico ragazzo che mi abbia mai trattata bene e non mi abbia mai fatto mancare niente. Non posso più andare avanti così, e spero che tu prima o poi mi perdonerai e capirai che non ti ho mai preso in giro, né ti ho dato per scontato o me ne sono fregata di te, perché non è vero. Sono stata genuinamente convinta del fatto che tu fossi la persona che poteva salvarmi, sei stato una ventata d’aria fresca in un momento della mia vita in cui cercavo solo di fuggire, e forse il mio errore è stato proprio lì: prima dovevo fuggire e poi venire da te, forse in quel caso non avrei avuto ripensamenti, non sarei arrivata a questo punto. Sappi che il pensiero di farti star male mi uccide, e spero solo che tu non soffra troppo a causa mia, perché davvero non ne vale la pena, non sprecare tempo e, chissà, lacrime per una come me. Grazie per avermi dimostrato che al mondo esistono persone gentili, carine, senza secondi fini, che sanno farti sentire un pezzo importante nelle loro vite. Vorrei che fosse andata in tutt’altro modo, lo vorrei con tutto il cuore, credimi. Non ho dubbi che troverai qualcuna degna del tuo tempo e, soprattutto, del tuo amore; una che non giocherà con i tuoi sentimenti per poi rendersi conto che non può continuare a vederti quando è ancora innamorata di un altro.

Mi dispiace.

V.

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“You aren’t any other guy. You’re different. You’re good, and kind, and decent. And I didn’t deserve to be with someone like you. I never would. I would have ruined you. It wasn’t you, it was me, and everything that’s happened to me.”

Caro T.,

Hai presente quando provi a lottare disperatamente contro qualcosa, credi di essere riuscito a vincere e improvvisamente ti rendi conto che ti sei preso in giro per tutto il tempo e in realtà sei esattamente dove eri prima? Hai presente? Ti senti sconfitto, schiacciato, perso e disperato. Ecco, io in questo momento mi sento così. Ero convinta di essere riuscita ad andare avanti, ti giuro, lo pensavo davvero. E poi, improvvisamente, di punto in bianco, ho realizzato che non era così, non lo era mai stato. Sono nella stessa situazione di prima, anzi peggio.

Mi manchi. Mi manca come eravamo prima che combinassi questo casino. Mi manca chiederti come stai e ricevere una risposta sincera, e sapere che probabilmente ero l’unica persona a cui lo stavi raccontando. Mi manca contare qualcosa per te, non dico tutto, ma un minimo, e invece adesso sono una delle tante. Mi manca la complicità, l’intesa e la confidenza che avevamo prima, e sapere che sono stata io a farmi questo mi uccide. Pensare che quasi sicuramente mi avrai già rimpiazzata con chissà quante ragazze mi chiude lo stomaco e mi fa perdere il sonno. Sentirti distante e pensare a come eravamo prima mi uccide. Sapere che ormai sono, perdonami il francesismo e la schiettezza, solo un altro buco mi toglie il respiro. E non so come fare a uscire da questa situazione. Mi manchi. Mi manchi, mi manchi, mi manchi. Mi manchi da morire e vorrei odiarti per il coglione che sei e invece riesco solo ad odiare me stessa per essere innamorata di te.

Mi manchi.

V.

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I would send them but I know that it’s just not enough, my words were cold and flat, and you deserve more than that.

Caro T.,

È finita. Dopo un anno e mezzo ho deciso di smettere di avere bisogno di te. Vorrei che fosse tutto più semplice, vorrei poter schiacciare un bottone e decidere che non me ne importa più di te; ma è inutile negare la realtà, non è vero che non mi importa niente di te. Mi importa, eccome.

All’inizio ero furiosa con te. Insomma, non ti sei neanche presentato all’appuntamento (e dire che ti avevo solo detto che ti volevo salutare perché poi tornavo a Roma e non sapevo tra quanto tempo sarei tornata a casa!), e ancora peggio hai dato buca a due minuti dall’orario che avevamo fissato. Mi hai fatto sentire la persona meno importante sulla faccia della Terra, e pensare che volevo dirti un sacco di cose. Volevo dirti che non potevamo più vederci, è vero, e volevo dirti che non dipendeva assolutamente da L. (sicuramente lui ha contribuito, ma è stata solo la goccia che ha fatto traboccare il vaso), volevo dirti che dovevo farlo per la mia sanità mentale, volevo dirti che per quanto avessi voluto non potevo continuare a vederti sapendo quello che provavo per te e quello che non provavi per me. Volevo dirti che a modo tuo sei stato la migliore cosa che potesse capitarmi e che senza saperlo mi hai tirata fuori da una situazione del cavolo (infilandomi in una situazione ancora peggio, se possibile, ma paradossalmente sono stata molto meglio in questa situazione incasinata) e che senza saperlo mi hai aiutata con i problemi che ho con me stessa più di quanto chiunque altro abbia fatto nella mia vita. Volevo dirti che qualsiasi cosa succeda avrai sempre un’amica in me, qualcuno con cui parlare, perché l’ultima cosa che voglio è lasciarti da solo, specialmente nelle tue serate di turbe interiori che, ammettiamolo, non riesci ad affrontare da solo (né dovresti farlo – nessuno dovrebbe). Volevo dirti che sei stato il motivo principale per cui non volevo più trasferirmi a Roma, che ho pianto una settimana prima di partire perché l’idea di lasciarti mi uccideva e che sei la persona di cui sentivo più la mancanza. Volevo dirti che mi mancherai da morire, che mi mancherà giocare con i tuoi capelli, mi mancheranno le mattinate spese a guardare video idioti o a cercare qualcosa sul mercato nero, mi mancherà presentarmi in sottoveste da te e non sortire nessunissimo effetto, mi mancheranno le rare volte in cui mi hai chiesto di abbracciarti, e mi mancherà accontentarti quando lo fai, perché amavo abbracciarti. Mi mancherà fare l’amore con te (“o comunque tu voglia chiamarlo”, cit.), mi mancherà da morire sentire la tua mano che afferra la mia e la stringe. Mi mancherai, non puoi neanche immaginare quanto. Volevo dirti, soprattutto, che spero che tu trovi la felicità, quella vera, che tu capisca cosa vuoi veramente dalla vita e cosa fare per raggiungere quel traguardo, e volevo dirti che non ho nessun dubbio sul fatto che ci riuscirai.

Non mi hai dato la possibilità di dirti niente di questo, mi hai solo fatto scrivere un papiro sul cellulare in cui sfogavo tutta la mia delusione, a cui neanche hai risposto, tra l’altro (per una volta hai ascoltato quello che ho detto), e hai anche avuto il coraggio di fare la vittima e accusarmi non ho ancora capito di cosa (credo di aver inventato la sfuriata per non avermi salutato per avere una scusa per chiudere con te e poter vedere L. in libertà), e non capisco come tu abbia potuto pensare una cosa del genere perché non ti prenderei mai per il culo; non l’ho mai fatto e mai lo farò. E poi ti scrivo per avvertirti che tornerò a casa per vedere il concerto tuo e di L. e per ribadire che non ho dovuto smettere di vederti per lui e che non ti ho mai preso in giro e per chiederti di non odiarmi, e mi rispondi che non odi me, odi te stesso. E se ti chiedo perché mi dici di lasciare stare, per favore, fallo per me.

Mi hai uccisa con due frasi, Tommi. Nessuna persona sana di mente si dispiacerebbe di sentirsi dire “sto male per te”dalla persona di cui era innamorata, ma io non sono sana di mente, questo l’abbiamo capito. E allora cosa ci rimane, mi chiedo? Due persone che si sono fatte del male a vicenda e che con la loro mancanza di coraggio sono state causa della loro infelicità. A cosa sono servite tutte quelle notti passate a piangere sul cuscino, sperando di riuscire a curare questa malattia (perché così vedevo il mio essere innamorata di te) quando sarebbe bastato parlare tra di noi per risolvere tutto? A cosa è servito trattenermi tutte le volte che avrei voluto parlarti di quello che provavo, chiederti se avessi mai pensato ad un “noi”? A cosa è servito rodermi il fegato pensando a cosa stavi facendo e soprattutto con chi eri e se ti mancavo anche solo un sedicesimo di quanto mancavi a me?

Non tornerò indietro, non adesso che con L. ho trovato un accenno di felicità, un accenno di sanità mentale, ma sapere che non stai bene e che in parte è colpa mia mi sta logorando, soprattutto perché non ti vuoi aprire con me. Posso capirlo, in realtà, ma mi fa male lo stesso.

“Ci sono parole, “e” e “se” che da sole non hanno nulla di minaccioso. Ma se le metti insieme, una vicino all’altra, hanno il potere di tormentarti per tutta la vita.”

Rimarrai sempre il mio “E se..?” più grande.

V.

That’s the way I love(d) you.

Vediamo, come posso riassumere l’ultimo mese?

Ne sono successe talmente tante che non saprei da dove cominciare. Partiamo con ordine. Innanzitutto dopo un mese di “Vale mi manchi”, di sentirci tutti i giorni a tutte le ore e di tenerezze esce fuori che si stava rivedendo con la sua ex. Lascio immaginare le mie condizioni di quei giorni perché non ci tengo proprio a riviverle. Torno a casa per il ponte dell’8 Dicembre e lui è super carino e coccoloso finché non ci vediamo, dopodiché ritorna l’uomo di ghiaccio. La sera dell’8 vado al suo concerto e passo la serata a parlare con il bassista della band e niente, long story short ci sentiamo e fissiamo per andare al cinema a vedere Rogue One (bellissimo, andate a vederlo se ancora non l’avete fatto!). T., dopo non avermi parlato per tutta la sera “almeno L. ci poteva provare, altrimenti avresti avuto occhi solo per me” (cit.), non è che sia troppo felice della notizia ma non può dire niente e quindi si limita a prendermi in giro.

Torno a casa per Natale. T. mi convince a passare da lui la vigilia, dopo la cena con i parenti perché “mi ha preparato una sorpresa”, vado lì ed è talmente ubriaco da non capire niente; la sorpresa non è riuscito a prepararla proprio perché è ubriaco, ma ok.

Il 26 vado al cinema con L. e passo una serata bellissima. Sto proprio bene, lui è carinissimo e gentilissimo, mi passa a prendere, mi paga il cinema (nonostante le ripetute e violente proteste da parte mia) e a fine serata mi riaccompagna letteralmente al portone di casa. Stiamo a parlare fino alle 4 di notte e anche se ha avuto bisogno di una spinta da parte mia finalmente mi bacia e siamo tutti felici e contenti. Il giorno dopo ci rivediamo e passiamo un’altra bellissima serata. Il 28 lui ha un contest con T e la band e mi scrive poi per farmi sapere il risultato, io mi sveglio la mattina dopo con una sfuriata di T perché “L ha passato tutta la serata a telefono con te”. Ok. Il giorno dopo mi rivedo con L., prendiamo un caffè e io sto bene.

Il 31 T. mi dice che se riesco posso andare da lui dopo la festa di Capodanno e rimanere a dormire lì perché tanto è solo in casa e io… Accetto. Perché?

Perché sono innamorata di lui.

Sto benissimo con L., è carinissimo e gentilissimo e si vede che tiene a me e che è stracotto di me (e per dirlo io vuol dire che è proprio palesissimo), quando sono con lui sto da dio e se parlo di lui mi viene una voglia matta di vederlo; mi piace, tanto. Ma sono innamorata di T. Stanotte mi sono addormentata con lui che mi abbracciava e avrei voluto stoppare il tempo lì, con me rannicchiata contro di lui per il freddo e lui che mi abbracciava.

Dall’altra parte, la me razionale sa che con T. non ci potrà mai essere niente di più di quello che abbiamo avuto fino ad adesso, e neanche lo vuole perché insomma, abbiamo visto il tipo, e sa che invece con L. sarei felice, tanto. Devo solo trovare il coraggio di lasciare andare T.

Non so cosa si possa capire da questo post, sicuramente si capisce il mio stato d’animo e la mia totale confusione che si riflette nel post. I progetti nell’immediato futuro sono di parlare con T e spiegargli che non possiamo più andare avanti così e cercare, per quanto possibile, di non rovinare le cose con L visto che stanno andando benissimo. E cercare di guarire il mio cuore da questa malattia targata T.

ps: Buon anno! Possa il 2017 essere meno schifoso del 2016..

Every minute and every hour I miss you, I miss you, I miss you.

“Devo ammettere che mi manca Vale.”

Ebbene sì, l’ha detto davvero. Per la serie “come far partire viaggi mentali alla Vale: T. edition”. Sto provando a non costruirci sopra mille castelli ma è difficile, sfido chiunque a non farlo. Dopo aver appurato che non me l’ha detto per guadagnarci sopra altro ho passato due giorni con un sorriso da ebete stampato in faccia, e questa cosa non va bene. Poi è subentrata la depressione (non posso star felice per più di due giorni di fila, il mio organismo non lo regge) perché sì, mi ha detto che gli manco, ma come potrebbe dirlo a un’amica lontana, insomma alla fine abbiamo anche una confidenza tale per cui può dirmelo senza nessuna implicazione, intendendo semplicemente “mi manca la mia trombamica”, e mi sono resa conto che ci stavo davvero marciando sopra un po’ troppo, per cui ho smesso di aprire compulsivamente quel messaggio e ho smesso di andare a giro con quel sorrisino da ebete. E sto anche cercando di rimanere “normale”, come se dal mio punto di vista non avesse lanciato una mega bomba, sto cercando di rimanere la stessa, identica persona, ma conoscendomi non credo che ci riuscirò.

E poi questa cosa me l’ha fatto mancare ancora di più. Alla fine torno a casa tra solo tre settimane ma così sono ancora tre settimane. E poi se penso a quando tornerò a casa la mia mente comincia a vagare. “Cosa succederà? Se succederà”, “Come si comporterà? Come mi comporterò?”, “Cambierà qualcosa?”; sto perdendo la testa. E se poi non cambia niente o, ancora peggio, cambia in peggio? Oddio ne uscirò distrutta. Ok, sto divagando e soprattutto mi sto fasciando la testa per niente; prima di farlo aspettiamo e vediamo come procedono 1. Queste settimane e 2. Il ritorno a casa, poi deciderò se e come affrontare il post-tutto.

Per ora le cose certe sono:

  • Mi manca.
  • Gli manco!
  • Questa cosa finirà male.
  • Questa cosa finirà malissimo.
  • Non sono capace di non analizzare nel dettaglio qualsiasi cosa mi dica.
  • Ho freddo.
  • Dovrei andare a correre invece di scrivere.

Questi ultimi due punti non erano troppo pertinenti ma sono comunque due cose certe. Credo che andrò davvero a correre adesso. Magari ritrovo la mia sanità mentale abbandonata su una panchina del parco, chi lo sa.

 

 

Ps. Ovviamente ho cancellato Tinder dopo neanche una settimana, siamo seri, non è una cosa per me.