Sapete qual è il problema delle droghe? Creano dipendenza. E sapete cos’è la dipendenza? Cito testualmente: “è uno stato medico caratterizzato da ricerca compulsiva di stimoli gratificanti, nonostante le conseguenze negative”, o ancora meglio “una alterazione del comportamento che da semplice o comune abitudine diventa una ricerca esagerata e patologica del piacere attraverso mezzi o sostanze o comportamenti che sfociano nella condizione patologica. L’individuo dipendente tende a perdere la capacità di un controllo sull’abitudine”. Per il DSM e l’ICD, ovvero i libroni che mi accompagneranno per il resto della mia vita, la mia versione della Bibbia per capirci, il segno cardinale della dipendenza è l’uso compulsivo di una sostanza (o la messa in atto compulsiva di un comportamento) a dispetto della consapevolezza delle conseguenze negative, in sostanza la perdita del controllo volontario del comportamento. Ora, se si diventa dipendenti di una sostanza il percorso terapeutico è già, a grandi linee, designato: si ricorre alla terapia farmacologica e ad una terapia psicologica e si cerca di ridurre il bisogno della sostanza fino ad arrivare all’astinenza completa.
Ma se si diventa dipendenti di una persona?
Come fa una persona a creare lo stesso effetto di dipendenza di una droga?
Il meccanismo alla base è pressoché lo stesso: si va alla ricerca di stimoli gratificanti a prescindere dalle conseguenze negative. In termini più semplici, ci si ostina a relazionarsi con questa persona nonostante gli effetti disastrosi che questa ha sulla nostra salute psicofisica. E, come con la droga, si va in astinenza se non la si vede o sente per un determinato periodo di tempo (assolutamente soggettivo). Durante questi periodi di silenzio il nostro cervello è occupato solo da lei e non riusciamo a pensare ad altro; diventa un pensiero talmente costante da compromettere anche le più semplici attività quotidiane: ci pensiamo mentre cuciniamo la pasta, mentre siamo in tram, mentre siamo fuori con gli amici. E, come per una droga, l’astinenza crea in noi uno stato umorale fortemente negativo, caratterizzato da disforia, irritabilità, ansia, che può essere alleviato solo dal consumo della sostanza, o, in questo caso, dall’interazione con la persona. Ci si ritrova intrappolati in un ciclo infinito in cui soffriamo di crisi di astinenza da questa persona e cerchiamo gratificazione, la troviamo, ci sentiamo in colpa immediatamente dopo perché siamo perfettamente coscienti della negatività della cosa, cerchiamo di allontanarcene e ricadiamo nell’astinenza, e il ciclo rinizia. Ora, abbiamo detto che per la dipendenza da sostanze il percorso terapeutico prevede l’assunzione di farmaci per ridurre l’ansia e un percorso psicoterapeutico per ridurre l’ossessione del consumo della sostanza e arrivare ad un’astinenza completa; come si può mettere in atto una cosa del genere quando l’oggetto di dipendenza è una persona? Mi chiedo soprattutto come sia possibile al giorno d’oggi, con i social network che hanno completamente annientato il concetto di privacy e ci permettono di condividere anche i momenti più intimi della nostra vita (si pensi a quei disagiati soggetti che postano foto con il proprio partner alla conclusione di un rapporto sessuale – i famosi selfie after sex, per intenderci-): come ci si aspetta che una persona riesca ad arrivare all’astinenza completa di un’altra persona se, volente o nolente, questa è sempre lì, qualsiasi cosa si faccia, in qualsiasi posto si sia?
Essere tossicodipendenti al giorno d’oggi è uno stigma sociale, se sei un tossicodipendente sei automaticamente un delinquente; non ci si sofferma mai a pensare cosa possa succedere nel cervello di qualcuno che soffre di dipendenza da sostanze, a cosa stiano passando per guarire, si tende sempre a liquidare il discorso con un “quel cretino è un tossicodipendente, come si è potuto ridurre così? Non può semplicemente smettere?“. Ecco io vorrei chiedere a questi luminari della scienza WE SCEMI PAGLIACCI MA NON V’È MAI PASSATO PER L’ANTICAMERA DEL CERVELLO CHE FORSE, E DICO FORSE, NON È COSì SEMPLICE COME LA FATE VOI? O, per mantenere un certo tono, non pensate che forse alla base non ci sia solo una mancanza di forza di volontà? Una dipendenza ti toglie l’autonomia, ti toglie l’unica cosa che fa di te te: la tua identità. Annienta completamente la tua forza di reagire e ti lega indissolubilmente alla sua volontà, rendendoti succube. Sai benissimo che ciò che stai facendo è sbagliato, ne sei perfettamente consapevole, e ti senti in colpa per questo, non la vivi a cuor leggero, ma sai anche che, disgraziatamente, è l’unica cosa che può donarti una momentanea parvenza di benessere. E allora la cerchi, fai di tutto per raggiungere il tuo obiettivo, ti ossessioni fino a perdere completamente la tua dignità per una busta di cocaina, o per un messaggio. E poi riesci ad ottenerlo, finalmente hai quello che volevi, lo vedi, stai con lui e tutto il resto del mondo pare scomparire e niente ti tocca più, a parte per quella sensazione sempre più pervasiva di dolore che senti avvampare prima piano piano, poi sempre più forte, perché in cuor tuo sai che ti stai solo facendo ancora più del male. Sai che questa pseudo felicità non durerà a lungo, anzi, lo senti? Sta già svanendo. Ti chiedi come hai fatto a ridurti così, decidi di tagliare i ponti, di intraprendere un percorso di disintossicazione e riprenderti la tua vita, ma ricadi inesorabilmente nell’astinenza, il pensiero di cancellarlo dalla tua vita ti fa mancare il respiro, cominci a diventare paranoica, e un velo nero pare cadere su tutta la tua vita. E allora torni indietro, lo ricerchi, sapendo che ti farai solo del male, ma sapendo che almeno per quelle due ore che passerete insieme il tuo cervello, il tuo cuore e quel dolore lancinante ti daranno (più o meno) tregua. E il ciclo ricomincia.
Vorrei poter dire a me stessa che passerà presto, vorrei poter dire, come due anni fa, che starò bene e che tutto questo sarà solo un brutto ricordo, ma se così fosse non sarei qua a scrivere questo assoluto delirio da reparto psichiatrico o TSO brainstorming. Quando mi guardo allo specchio continuo a paragonarmi alla ragazza per cui si è preso una cotta stratosferica a luglio, o (ultimamente sempre più spesso) alla sua ex, e continuo a perdere, ancora e ancora. Continuo a vedere i rotolini di ciccia (quelli che nessuna delle due ha), la cellulite (che nessuna delle due ha), il naso grande (quello che nessuna delle due ha) e i denti storti (che ve lo dico a fa?), continuo a vedere i fianchi larghi e la mia forma a pera, continuo a pensare di essere meno bella, meno simpatica, meno intelligente, meno tutto di loro. Continuo a capire perché questo rapporto non sia mai evoluto in qualcosa di più e a capire perché lui mi veda come un buco da usare quando si ha voglia di soddisfare i propri bisogni o come un contenitore in cui rigurgitare tutti i propri problemi e a cui rivolgersi quando si ha un problema, certo che sarà sempre lì, pronto ad accoglierlo. Continuo a cambiare drasticamente umore se mi arriva un suo messaggio, e a cambiarlo di nuovo quando ci lasciamo. Continuo a rovinare i miei rapporti con le altre persone, continuo a non riuscire ad addormentarmi la notte, continuo a fare sogni tremendi in cui lui è con una ragazza che non sono mai io, continuo a svegliarmi la mattina e non avere le forze per alzarmi, certa che sarà un’altra giornata di merda.
Avrei tanto voluto chiudere questo post in modo positivo, ma non saprei proprio come.
Si accettano suggerimenti.